Trigger point: la guida completa.
I trigger point sono zone rintracciabili sui muscoli,
capaci di irradiare dolore anche a distanza se premute o massaggiate.
I trigger-point sono interessanti proprio perché sono capaci sia di ricreare dei sintomi
del paziente, sia di diminuirli se opportunamente trattati.
Il nome fu introdotto nei primi anni 50 dalla dott.ssa Travell
ed il dottor Simmons che scrissero un’opera “epica” sull’argomento,
ancora oggi pietra miliare del trattamento fasciale.
Come si formano i trigger-point?
Spesso la causa e la genesi dei trigger-point è da ricercare nelle posture
che si tengono durante la giornata, seduti a computer, seduti in macchina
o anche in piedi ma con posture scorrette.
In pratica si formano delle tensioni muscolari
che tendono ad accumularsi, in precise zone del muscolo palpabili sottoforma di benderelle tese,
mini porzioni di muscolo che creano un effetto di tensione a “corda di chitarra”.
Il persistere di queste zone contratte può dare problemi nel tempo come
la riduzione di elasticità muscolare e l’incapacità di svolgere correttamente
dei movimenti o per il dolore o per la rigidità acquisita e cronicizzata.
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Esistono delle mappe corporee che guidano l’operatore sanitario facendo riferimento a reperi anatomici
di facile individuazione.
Ovviamente una volta individuata la zona con una certa approssimazione si cerca il feed-back
del paziente per individuare
con maggior precisione se quel dato trigger è doloroso.
Inoltre alla palpazione in corrispondenza del trigger-point
si può percepire solitamente una fascetta muscolare più in rilievo che tende a scattare
sotto le dita se sollecitata trasversalmente.
Chi può applicare le tecniche sui Trigger Points?
Teoricamente sono abilitati sia i fisioterapisti sia i massoterapisti e anche i massaggiatori a patto che abbiano
esperienza o che abbiano seguito un corso specifico sull’argomento.
Esistono anche fisiatri o ortopedici che utilizzano
tecniche di infiltrazione sul trigger-point con un ago ipodermico e con una soluzione di procaina al 0,5%.
Quali sono le principali tecniche sui trigger-point?
Le tecniche più diffuse sono appunto:
- La frizione profonda
- La compressione ischemica
- La contrazione rilasciamento
- L’inibizione reciproca
- L’ultrasuono
- La stimolazione elettrica galvanica ad alto voltaggio
Frizione Profonda
E’ una tecnica molto diffusa perché relativamente semplice, oltre a non richiedere particolari strumentazioni. Consiste, individuato il trigger-point, nel frizionare perpendicolarmente al fascio muscolare in rilievo sotto il trigger imprimendo una corposa forza perpendicolarmente al tessuto.
Compressione ischemica
Consiste nel applicare una compressione direttamente sull’epicentro del trigger point mantenendola per 20/30 secondi e aumentandone l’intensità man mano che il paziente si abitua al dolore. Il meccanismo è proprio quello di creare una momentanea ischemia locale che una volta rilasciata la compressione creerà un effetto “rimbalzo” di ipervascolarizzazione e innescando quelle reazioni fisico chimiche atte a ripare i tessuti e a riduzione le tensioni fasciali.
Contrazione e rilasciamento
Questa tecnica conosciuta anche come tecnica di Lewit, sfrutta il principio secondo cui dopo una contrazione isometrica massimale o sub massimale vi è uno spontaneo riflesso di rilassamento muscolo tendineo e mio fasciale. Quindi si richiede al paziente una contrazione massimale o sub massimale offrendo una resistenza fissa, con le mani o con strutture esterne vincolate, fino ad arrivare a mantenere una notevole contrazione per circa 10 secondi, dopo i quali si rilascerà la contrazione e il terapista cercherà di guadagnare ampiezza articolare nella direzione opposta a quella della contrazione allungando la muscolatura.
L’inibizione reciproca
Tecnica simile alla precedente sfrutta l’effetto di inibizione dell’antagonista(cioè del muscolo che fa il movimento opposto) rispetto all’agonista, il muscolo su cui vogliamo lavorare. In sostanza rilassiamo un muscolo e i suoi trigger point contrando per 10 secondi il suo antagonista e poi rilasciandolo prima di allungare e distendere l’agonista.
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L’ultrasuono
E’ un’onda meccanica veicolata da un cursore con un manipolo, per mezzo di un gel che si spalma sulla parte interessata ha la capacità di agire su muscoli situati in profondità e non raggiungibili dalle manovre manuali.
La stimolazione galvanica ad alto voltaggio
Lo scopo della somministrazione della corrente è di tipo antalgico e inibitorio della tensione delle contratture muscolari. Si applicano degli elettrodi sui tessuti in aree selezionate o addirittura direttamente sui trigger-point. Si regola la corrente su un livello percepibile dal paziente, ma non eccessivamente fastidioso. Infine si incrementa la corrente nell’arco di un periodo di 20 minuti circa man mano che il paziente sente calare l’intensità dello stimolo elettrico.
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